Maria Silvestrini
La locandina indicava un appuntamento culturale interessante per la nostra città “La giovinezza di Aldo Moro: gli anni di Taranto”, relatore il nipote dello statista il prof. Renato Moro docente di storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma. Sorprendente la risposta della città e particolarmente dei giovani a cui certamente sfugge la complessità e la valenza del professor Aldo Moro, politico e docente illustre. L’Aula Magna della sede tarantina dell’Università era gremita e lo è rimasta sino alla conclusione della scoppiettante relazione del prof. Renato Moro che ha sdoganato la figura
dello zio dalle polemiche politiche e dalla sua tragica fine per mostrare il volto di un ragazzino studioso, profondamente attento al contesto in cui viveva, affettuosamente seguito da una famiglia coesa. Un profilo storico reso particolarmente piacevole dai tanti aneddoti che il prof. Renato ha voluto narrare come parte di un patrimonio familiare condiviso. Accanto al prof. Renato Moro il Magnifico Rettore dell’Università Uricchio ed il prof. De Marco, direttore della Biblioteca arcivescovile.
Al centro della relazione l’importanza fondamentale della scuola e della famiglia nello sviluppo equilibrato di un adolescente, oggi come ieri, nel Liceo classico guidato in questo nostro tempo dal prof. Pasquale Castellaneta come negli anni ’30 dal preside Ridola. Tante le diapositive che ci hanno riportato ad una Taranto vivace, con un lungomare aperto alla balneazione e la Marina Militare ancora grande protagonista dello sviluppo economico e della società civile.
Aldo Moro giunse a Taranto con la famiglia nell’estate del 1923, aveva 7 anni. Suo padre Renato, rigido ispettore scolastico, vi era stato trasferito dalla sede di Potenza. La sua era una famiglia colta, il padre, originario di Galatina aveva un fratello magistrato ed uno medico. Sposò Fida Stinchi, nel 1913 ad Altamura, e formarono subito una coppia moderna dai comuni interessi culturali e con una profonda umanità che furono l’elemento caratterizzante della formazione dei cinque figli. Era una famiglia laica, con quel forte senso dello Stato che caratterizzava agli inizi del secolo scorso una parte del ceto medio meridionale, nell’adesione convinta ai presupposti risorgimentali propri dell’età liberale. Renato non era credente ma nemmeno anticlericale, mentre la madre, calabrese, era figura femminile singolare, animata da una forte sensibilità religiosa, pervasa dall’idea che l’elevazione della persona passasse attraverso l’immedesimazione continua nella fede. Forse il vivere questa situazione di mediazione continua fra due figure così presenti nella sua vita, furono il lievito di quella capacità di Aldo Moro di cercare sempre i motivi che uniscono piuttosto che quelli che dividono.
Moro fece tutti i suoi studi nella scuola pubblica statale fino alla licenza liceale conseguita nel liceo Archita con ottimi voti. Aldo era studioso e capace di restare ore sui libri ad approfondire le singole materie ma la sua adolescenza fu anche altro. Amici carissimi Bruno Fornaciari e Riccardo Ridola. Frequentò il Circolo giovanile cattolico S. Francesco d’Assisi, assieme al fratello maggiore Alberto, presso il convento di S. Pasquale dei frati minori: un’esperienza significativa, specie quella in Azione Cattolica con il ‘gruppo del Vangelo’, di cui era animatore padre Michelangelo Ridola che lo guidò nei primi passi della sua vita spirituale conferendole quel tratto di intimità e riflessività interiore che lo ha sempre caratterizzato. Il suo rapporto col fascismo fu strettamente legato a quanto era necessariamente richiesto ad uno studente in quegli anni, la famiglia anche se critica, manteneva l’atteggiamento dovuto dai ‘servitori dello Stato’ ma certamente il mostrarsi distaccato non fu estraneo alle difficoltà di carriera dell’ispettore Renato Moro.
Della serata di venerdì 28 ottobre, organizzata dal Comitato per le celebrazioni del centenario dalla nascita di Aldo Moro, vanno sottolineate le performances canore dei piccoli della Scuola Elementare Lorenzini – Don Bosco e dei ragazzi del Liceo Archita. Uno spaccato delizioso quello delle voci bianche della Lorenzini che hanno aperto la serata cantando l’Inno d’Italia ed il ‘Va pensiero’, nel vasto proscenio dell’Aula magna i piccoli cantori in bianco hanno voluto ricordare la presenza di Aldo Moro il 28 ottobre 1967 all’inaugurazione della loro scuola. Poi, grandi, con una vocalità maestosa, gli alunni dell’Archita hanno invece intonato l’Inno alla gioia, inno europeo, nella lingua madre il tedesco.
Tanti gli applausi e tanti gli apprezzamenti per un incontro che ha coniugato la leggerezza di un percorso scolastico con la formazione del giovane Aldo Moro divenuto nel prosieguo uno dei maggiori protagonisti della vita politica italiana.
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